Il mese di maggio si è chiuso e con esso anche l’esperienza intrapresa nell’isola della Sardegna. Mi è scesa una lacrima di malinconia camminando lungo mare proprio il sabato 31 maggio, giorno del mio rientro.
Il viaggio di ritorno ha avuto sapori di Sardegna tangibili fra le pagine di un libro, nello zaino carico di doni e biscotti. Anche le emozioni sono state tutte dentro il bagaglio, il quale mi accompagna anche ora che è stato svuotato dei vestiti di ricambio.
Verona e Cagliari sono ora unite più che mai dalla biblioterapia, una forma quasi che abbraccia ogni dimensione di quel luogo: dalle persone, alle biblioteche, fino alla comunità. Si è proprio chiuso così il ciclo dei miei incontri, attraverso una riflessione intorno alla biblioterapia per una comunità e una famiglia partecipata. E la famiglia così come la comunità le ho proprio assaporate, assaggiate e gustate in quegli ultimi giorni di maggio. Durante i laboratori di biblioterapia si creano connessioni uniche, di privilegio solo per chi fa parte del gruppo, e impari a conoscere persone prima sconosciute che finiscono per condividere l’intimità che le rende esseri viventi speciali, un po’ come quando il Piccolo Principe addomestica la volpe, la quale non è più soltanto una volpe qualsiasi ma La Sua Volpe; così anche il Piccolo Principe diviene unico per lei.
Con la biblioterapia i confini docente e discente non sono più così definiti, è un imparare reciproco di crescita ed evoluzione. Dapprima ti avvicini pian piano al cuore delle persone, in un secondo momento ti sembra di avere incontrato anime gemelle. Questo tipo di approccio è importantissimo, ma anche difficilissimo: il lavoro sul conoscerti non ha mai fine e devi riconoscere quando saperti lasciare andare.
Tracciare il confine non può essere l’esito di un’attività che dipende da una visione unilaterale, non può nemmeno essere la conseguenza e la risultanza di compromessi. Questo perché il confine non è mai un punto di arrivo, ma un punto di partenza che non è assoggettato agli spazi adiacenti, ma che, in realtà, tali spazi li definisce. Infatti, solo assumendo uno sguardo sbadatamente superficiale o soggettivo, ovvero legato al proprio spazio d’appartenenza, il confine può riferirsi esclusivamente ad un luogo altro, identificabile come diverso che resta sullo sfondo. È il termine latino, che l’etimologia del vocabolo confine evoca, a suggerire il suo significato più intimo. Con-finis è qualcosa di differente rispetto al semplice limite. Il prefisso con- assume un ruolo ben preciso strettamente legato alla condivisione (con – dis – videre). Confine non è dunque una mera delimitazione, ma un esser frapposto che non solo fissa un “al di qua” e un “al di là” ma che si pone come una linea di mezzo che interseca gli spazi, un punto d’incontro, di comunicazione e connessione1.
La connessione con le storie che sono andata ad incontrare è stata profondamente autentica e l’accoglienza che c’è stata, tipica di chi ospita e di chi è ospitato, ha abbracciato e permeato ogni singolo momento. Solo alcune foto hanno potuto rendere eterno quello che ormai è divenuto ricordo passato. Tuttavia come insegna Claudia Musio nel suo romanzo “ognuno di noi lascia qualcosa di sé andando via. Ciò che resta, ossia il ricordo, è vita che si va ad aggiungere alla nostra, che la arricchisce. La memoria è come raccogliere particelle infinitesime di anima e poi riunirle, dentro di sé, in un’immagine, una frase, un gesto. E poi lasciarle di nuovo affinché qualcun altro le raccolga e faccia lo stesso”2.


Biblioteca di comunità
Negli stessi giorni in cui si concludeva la formazione a Cagliari, sono stata accolta da un altro luogo, ossia Serrenti. In questo luogo alcune persone davvero speciali sono state in grado di farmi sentire quasi come il “messia” che giunge sulla terra (scherzando!). Eppure, mi sentivo invece così privilegiata di appartenere a tutta quella comunità – sempre più difficile da incontrare nel nostro tempo – da esserne profondamente commossa e sentire così il cuore caricarsi di nuova energia.
Certi incontri vengono scelti già a tavolino dal destino, dove realmente le anime si parlano al di là dei corpi. Qui ho potuto conoscere Emanuela, Sonia, Rita, Glauco, Angelo, Claudia, Annarosa, Walter, Renato e moltissimi altri, verso cui sono profondamente grata. Rivolgo proprio a loro queste parole perché meritano testimonianza di ciò che fanno ogni giorno, senza il bisogno della biblioterapia.


Storie di cortile le ha definite Annarosa, dove la parola famiglia e comunità sono letteralmente di casa: le porte degli abitanti si aprono e si accoglie buon cibo, libri, narrazioni e coloro che fanno parte di tutta questa magia… Un luogo dove la biblioteca entra nella vita di tutti i giorni attraverso rassegne e presentazioni di autori. Quel pomeriggio il cortile era davvero pienissimo di gente, la gente del posto, che si conosce già, ma che in quell’occasione ha saputo guardarsi ancora una volta negli occhi ed emozionarsi davanti a un libro. Una bibliotecaria “fulminata” che ha saputo mettere in pratica le leggi di Ranganathan, ma soprattutto volontari appassionati che hanno dato origine a un progetto itinerante che mi ha fatto sentire a casa.
Sì, perché proprio in Sardegna un’altra Biblioteca dell’Anima è nata in questo ultimo anno, in contemporanea e dunque entrambe si sono scoperte sorelle gemelle. La condivisione non deve essere sottovalutata; ogni volta che uno di noi sta dando qualcosa, di sé, mettendosi a disposizione degli altri senza aspettarsi nulla indietro, sta aiutando se stesso e chi circonda a rendere questo mondo migliore. Ed è proprio con l’idea del condividere che nasce la Biblioteca di comunità, che oggi troverete attiva sia nella biblioteca comunale, che in molti altri luoghi ed esercizi commerciali, oltre che qualche istituto scolastico!

Come funziona? I libri donati dai serrentesi, e non solo, saranno a disposizione di chiunque voglia leggerli. Li potrete portare a casa e rimettere nello scaffale dove li avete trovati una volta finito di leggerli. E se vi piace l’idea di mettere anche i vostri libri a disposizione della comunità, non dovrete far altro che avvicinarvi al progetto. Perché i libri non raccontano, ma parlano di noi, della nostra storia, dei nostri vissuti ed esperienze; ci ricordano chi siamo stati e i momenti belli o brutti che hanno accompagnato.
Per chi ama leggere e condivide con altri appassionati lettori le stesse sensazioni, saprà che i libri sono vivi, sono esseri viventi che attraverso l’incontro e l’interazione si rinnovano di linfa continua, da cui nascono nuove foglie, fiori e frutti.
E io in Sardegna i fiori li ho proprio mangiati! Vi consiglio di far visita al Parco di Monti Crastu, sempre a Serrenti, dove natura e cultura vivono una simbiosi meravigliosa!

