Unire i puntini guardando indietro

Valeria Tritto

La filosofia della narrazione secondo Valeria Tritto – libere riflessioni

Filosofia della narrazione – due parole, due attività che evocano in me curiosità e antichi saperi, evocano radicamento. Quando ho scoperto questa disciplina che le mette insieme, mi ha attratto, sentivo che mi avrebbe aiutato a trovare risposte a vecchie domande. E poi domande nuove…

E così è stato. È passato qualche mese dal nostro incontro e tanti pensieri si sono intrecciati, però prima delle risposte alle domande vecchie sono arrivate le nuove domande! Provo a fare il punto.

Mi piace pensare alla capacità di narrare come ad un super potere dell’uomo: è una forza creatrice che conferisce senso e concretezza ai pensieri, li rende reali. Quando ci capita qualcosa di bello, dobbiamo dirlo alla nostra migliore amica, è un bisogno impellente, perché solo nel momento del racconto quanto successo acquista concretezza e diventa reale, lo possiamo toccare con mano. Allo stesso modo, una brutta notizia finché taciuta sembra solo una lontana paura, ma nel momento del racconto, ecco che il dolore si impadronisce di noi e rende concreto l’inevitabile. 

Ma è lo stesso raccontare ciò che è successo a me o ciò che ho visto succedere ad altri? La letteratura di ogni tempo ci mostra come i racconti in prima persona siano molto più efficaci e coinvolgenti: già Omero cede parola ad Odisseo per raccontare i viaggi e le avventure dell’Odissea, è il grande eroe che narra e testimonia quanto gli è occorso, non potrebbe un terzo sapere fino a che punto Odisseo ha sofferto, ha lottato, ha voluto con tutto sé stesso tornare ad Itaca. 

Così quando ho letto Cavarero dire che “Ulisse riceve la propria storia dalla narrazione altrui” non ho potuto far altro che riprendere l’Odissea in mano, rileggerla con una nuova luce.

Iniziamo dalla prima domanda: Odisseo o Ulisse? Odìsseo è il protagonista dell’Odissea, Ulisse è il nome latino adattato ad una lingua e ad una cultura diverse da quelle natie, Ulisse richiama un mondo latino che ha preso e dato nuovo senso ai miti greci, Ulisse richiama il personaggio dantesco, quello che muore in un folle volo in nome della conoscenza. Ma Dante non aveva letto l’Odissea. Ulisse non è il protagonista dell’Odissea. Se vogliamo prendere in considerazione il personaggio originario, quello che poi ha ispirato tanti altri personaggi di ogni epoca, allora dobbiamo parlare di Odìsseo. 

E Odisseo è sì un eroe, ma prima di tutto è un uomo. È un uomo che piange, soffre e non si dà mai per vinto attingendo in ogni difficoltà alle proprie risorse (campione massimo di resilienza, potremmo dire oggi!). Odisseo è infatti un mortale che desidera tornare a casa propria, dalla moglie e dal figlio. Ha dovuto abbandonare tutto per una guerra che non voleva e per la quale è stato costretto a combattere, non desidera gloria eterna, ricchezze, piaceri (in antitesi ad Achille). È un uomo che rifiuta il dono più grande che una divinità possa fare: l’immortalità.

Ma andiamo per ordine. Quando Omero ci fa incontrare Odisseo siamo già al quinto libro del poema. Ci appare su una spiaggia, guarda l’orizzonte e piange. Se ipotizzassimo un pubblico che non conosce la trama potremmo chiedere “perché piange secondo voi?” è trattato male? picchiato? ha una malattia? Cosa potrebbe far piangere un uomo bello, forte e intelligente?

E scopriamo che, sì, è prigioniero, ma di una dea bellissima, che lo ricopre di ricchezze e attenzioni e di notte è costretto ad unirsi con lei… e, dulcis in fundo, lei gli propone l’immortalità! Il sogno di tanti: eterna giovinezza, nessuna fatica, cibo e sesso. Ma lui no. Lui piange.

Rifiuta tutto ciò, e preferisce mettersi per mare da solo, con una zattera, senza un tragitto preciso per tornare a casa. Perché?

Perché Odisseo vuole tornare, vuole riprendersi ciò che era suo e soprattutto vuole ritrovare (o trovare) sé stesso, e per farlo non può – come noi tutti non possiamo – affidarci alle comodità e scegliere la strada facile. Dobbiamo costruirci una zattera e affrontare l’ignoto. Affrontare le difficoltà, guardare la morte negli occhi. Solo se sappiamo piangere e non abbiamo paura di riconoscere le nostre fragilità, potremo superarle facendo appello alla forza più profonda in noi, il nostro cuore. 

Questo aspetto di Odisseo mi ha sempre affascinato: il pianto lo rende davvero umano, il pianto lo rende davvero un eroe, un modello per ogni tempo. 

E quel viaggio per Odisseo finisce con un tragico naufragio che gli toglie i pochi oggetti che ancora aveva (i vestiti e la zattera). Rischia la morte, ma non si arrende, tiene duro, arriva nudo ad una spiaggia (beh, con un aiutino di Atena, ma gliel’ha fatto sudare!) e con abili parole è pronto a guadagnarsi la fiducia di chi su quell’isola regna. E quando finalmente è in salvo, vestito di nuovo e rifocillato secondo i più antichi dettami dell’ospitalità greca, si trova ad ascoltare l’aedo Demodoco che narra le vicende della guerra di Troia, da lui stesso vissute, eventi che lo vedono protagonista. Lui che fa? Piange. 

Ora – perché piange? – Sentire le proprie gesta raccontate da un artista farebbe commuovere noi tutti, soprattutto se gli effetti di quei drammi sono ancora tangibili per noi, non risolti. Se quello che ci ha portati a compiere quelle gesta (la guerra) è stato un evento che ha travolto la nostra vita contro la nostra volontà e ci ha tolto tutto ciò che amavamo e a cui vorremmo tornare. Odisseo piange perché quello che sente è vero, si riconosce in quel racconto ed emergono alla sua mente tutte le altre avventure che ha vissuto e che nessuno ancora conosce. Prima ancora di “farsi riconoscere” dai Feaci, ha bisogno di riconoscersi lui stesso e quel racconto è solo l’inizio del percorso. 

Quattro canti (su ventiquattro, dal IX al XII) sono occupati dal racconto dello stesso Odisseo: è lui a scegliere cosa e come raccontarsi, è lui a mettere insieme le idee e a dare senso alle parole. Il racconto e il tempo del racconto sono soggettivi, e non potrebbe essere altrimenti. Odisseo era solo in mezzo al mare, e solo lui sa quello che ha visto. Solo lui può “unire i puntini” per rendere quei singoli racconti una storia unitaria, e dare senso al viaggio nel suo complesso. 

Quindi non credo che Odisseo riceva la propria storia da Demodoco, quel racconto lo aiuta a guardarsi dentro, gli permette di guardarsi indietro con nuova consapevolezza, ma è il proprio racconto che permette ad Odisseo di ritrovare sé stesso e di affrontare e vincere le nuove difficoltà che incontrerà una volta sbarcato ad Itaca. 

A riprova dell’importanza del narrarsi, Odisseo sente l’impellenza di raccontare a Penelope le disavventure patite, subito, appena riabbracciati. Ha bisogno di raccontare alla sposa ciò che ha vissuto perché solo così potrà metterlo a fuoco e dargli senso.

È così: quando ci guardiamo indietro, quando riguardiamo le difficoltà incontrate e le narriamo (agli altri o a noi stessi, a voce o per iscritto) capiamo la forma che hanno dato alla nostra vita e siamo noi a dover dare un nome a quella figura. 

Non per niente nella storia che Karen Blixen racconta ne La mia Africa, è l’uomo stesso al mattino a guardare i propri passi scomposti e a vedere la cicogna! È LUI a vederla. Un’altra persona potrebbe unire quei puntini in un altro modo, dar loro un altro significato.

E la letteratura ci offre mille altri spunti: qual è stata la vita di Emily Dickinson? Quella raccontata dai libri, dalle biografie ufficiali o quella che leggiamo nelle sue poesie? Ecco: ad una biografia non servono date di nascita e morte, ma cuore e pianto di un uomo che parla ad altri uomini. Quella è la biografia che mi piace, che può parlare di me, a me, per me, con me.

Se desideri approfondire l’argomento proponiamo qui alcune letture:

  • Blixen Karen, La mia Africa, Feltrinelli, Milano 1959
  • Bosco Umberto, introduzione al canto XXVI dell’Inferno in Divina Commedia a cura di U. Bosco e G. Reggio, Le Monnier Scuola, Milano 2013
  • Cavarero Adriana, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Lit Edizioni, Roma 1997
  • D’Avenia Alessandro, Resisti, cuore, Mondadori, Milano 2023
  • Gordon Lyndall, Come un fucile carico. La vita di Emily Dickinson, Fazi Editore, Roma 2012
  • Omero, Odissea, traduzione di Maria Grazia Ciani, Marsilio, Venezia 2018
  • Privitera G. Aurelio, Il ritorno del guerriero. Lettura dell’Odissea, Einaudi, Torino 2005

Condividi

Libri e tabù femminili

Quando io e Lili ci siamo incontrate ci ha unito la biblioterapia: lei all’inizio di un dottorato in tale materia in collaborazione tra la sua

leggi

Autobiografia Instrumentum Vitae

ARTICOLO DI GIORGIA GIUSTINELLI – illustrazione tratta dalla graphic novel “Benzimena. Anatomia di uno stupro” di Nina Bunjevac «Creare pericolosamente, per gente che legge pericolosamente.

leggi