In Italia moltissime categorie professionali non hanno rappresentanza e vivono situazioni confuse e controverse. Spesso si è parlato sulla questione di tutela della clientela e sulla questione di chi si debba occupare della salute e del benessere di questa.
L’articolo 32 della Costituzione Italiana dichiara che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
La salute è dunque diritto fondamentale e nessun individuo è obbligato a essere sottoposto a uno specifico trattamento senza la sua volontà.
Inoltre ogni individuo, o meglio, ogni persona è diversa. Ognuno di noi ha un concetto di cura e salute che dipende da tanti fattori: culturali, sociali, familiari, eccetera. Siamo in tantissimi ed è giusto proporre il maggior e miglior numero di “offerta curativa” a misura il più possibile dei singoli cittadini. Questo ovviamente non significa lavorare senza il rispetto e la tutela della persona con cui ci esponiamo da un punto di vista di cura professionale. A tal proposito è dunque fondamentale la formazione e l’aggiornamento continuo.
Come professionista appartengo a ben due categorie di professionisti poco rappresentati e spesso denigrate perché non all’altezza o non adatte a offrire il giusto servizio. Ovviamente parliamo del suolo italiano perché all’estero c’è tutt’altra storia.
Sono counselor educativo ad approccio integrato con formazione in Analisi Transazionale e soprattutto sono biblioterapista ad approccio filosofico con specializzazione in Medicina Narrativa; principalmente mi occupo di biblioterapia dello sviluppo e talvolta di biblioterapia clinica per la mia collaborazione ospedaliera.
La disciplina della biblioterapia è entrata agli albori nel bacino degli psichiatri e degli psicologi, solo successivamente ha iniziato ad essere utilizzata anche da figure “laiche”, quali bibliotecari, filosofi, counselor, educatori, ossia figure di ambito umanistico. Ovviamente questo non è avvenuto in maniera spontanea, ma sono serviti studi e ricerche dimostrate. Ad oggi in Italia si inizia a parlare di questa parola sconosciuta ai più, e posso dire quasi con orgoglio che, se si è iniziato a parlarne è perché io, assieme a due miei colleghi, abbiamo lottato per il suo riconoscimento.
Non esisteva formazione accademica riconosciuta, mentre ora esiste il primo e unico Master di I livello in Biblioterapia; siamo all’avvio della terza edizione. La materia era solo strumento aggiuntivo di psicoterapeuti mentre ora è disciplina su cui fare ricerca e applicazione in vari contesti.
Perché in vari contesti? Sulla lunghezza d’onda dell’articolo precedentemente pubblicato su questo sito, ritengo che la cura sia compito e materia quasi del tutto trasversale e la biblioterapia può aprire un dialogo in questo senso. Ovviamente tornando alla questione del rispetto e della tutela, i professionisti devono essere adeguatamente formati affinché non si verifichino promiscuità. Tuttavia io credo che il vero problema sia il rispetto dei confini professionali nelle varie realtà.
Frequentemente mi trovo a osservare psicologi nel ruolo di educatori, educatori nel ruolo di addetti alle pulizie, OSS nel ruolo di educatori, insegnanti che si trasformano in psicologi e via di seguito. Molto spesso persino gli annunci di lavoro richiedono una figura con un titolo specifico che però sappia anche occuparsi di varie altre mansioni che inevitabilmente sfumano e sfociano nella competenza di altre categorie. Questo non solo è svilente e frustrante, ma soprattutto non mette nella condizione di rispetto e tutela dell’utenza a cui questi professionisti e queste professioniste si rivolgono.
Tutta questa premessa per annunciare il lancio ufficiale dell’Associazione di Categoria di Biblioterapia e Poesiaterapia. Un obiettivo impensabile anni fa in Italia, ma necessario affinché ci sia chiarezza e controllo. L’Associazione ha infatti l’obiettivo di rappresentare entrambe le categorie di applicazione della biblioterapia, clinica e dello sviluppo. Vuole offrire a tutti i professionisti uno spazio di dialogo dove poter far incontrare anche realtà diverse che a vario titolo e misura si occupano di cura attraverso l’utilizzo dello strumento libro o narrazione in generale. Tutto questo con l’intenzione molto chiara ed etica di esplicitarne i confini professionali in merito.
Le figure cosiddette laiche possono occuparsi di cura, salute e benessere perché si rivolgono alla parte sana delle persone, per usare il linguaggio dell’Analisi Transazionale, intervengono sullo stato dell’Io Adulto delle persone, senza fare regressione o progressione, le cui sfere sono competenza esclusiva dello psichiatra o dello psicoterapeuta.
BiPo sarà dunque un’associazione di categoria aperta al dialogo delle due branche della biblioterapia con l’obiettivo di verificare le competenze, i confini professionali e la tutela da rivolgere all’utenza. Proprio per questo è stato stilato un codice etico visionabili sul nuovo sito: https://www.associazionebipo.it/codice-etico/
Oltretutto abbiamo voluto inserire fra i fondatori proprio una figura rappresentativa dei professionisti clinici. Questo ancora una volta dimostra il nostro desiderio e compito di assicurare tutela a quella categoria che ha davvero bisogno di riconoscimento perché utilizza uno strumento con potenzialità assolutamente enormi e delicate, avendo a che fare con persone differenti.
Inoltre ricordiamoci che il termine Biblio-terapia è stato ereditato dall’inglese e gli antichi non avevano bisogno di aggiungere la parola terapia al potere curativo delle arti insito in loro per natura.
Io, Marco, Dome e Paolo (https://www.associazionebipo.it/chi-siamo/) vi aspettiamo sabato 28 ottobre alle 10, sia in presenza che in streaming, per il lancio ufficiale di BiPo – Associazione Italiana Biblioterapia Poesiaterapia.
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