Con ali di carta: la fragile potenza delle parole

diritti infanzia e adolescenza

Giornata Internazionale per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

Quando veniamo traditi, abbandonati, feriti, quando ci lascia un nostro caro, quando ci sembra di essere soli al mondo, quando quello in cui abbiamo creduto per tutta la vita si rivela una bugia, quando la società si capovolge, quando esplodono le guerre, quando pensiamo a quante persone stanno morendo in questo momento… come facciamo ad andare avanti? 

Ogni 20 novembre voglio ricordare la ricorrenza per me più importante, e che forse è il cuore pulsante di tutte le altre. Il 20 Novembre del 1989 è entrata in vigore la Convenzione sui diritti dell’infanzia, ovvero un trattato che include tutti i diritti dei bambini .
Da quel momento in poi, è stata fornita una nuova visione sui bambini come soggetti che avevano anche i loro diritti di rispetto e realizzazione.

La Convenzione sui diritti dell’infanzia contiene 54 articoli con tutti i diritti dei bambini, delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze esistenti su questo Pianeta. Purtroppo però, questa data istituita, assai raramente viene davvero osservata sotto la lente d’ingrandimento. Oggi, nell’anno del 2023 in cui vivo, sento ancora di più l’esigenza di usare le mie parole per parlare di tutto questo e anche qualcosina in più.

Nei giorni scorsi riflettevo che a distanza di 5 giorni, nel mese di novembre ci sono due ricorrenze molto “fragili”. Perché dico fragili? Perché anche se ormai la tecnologia e l’evoluzione dell’essere umano ha raggiunto forse la sua massima espansione, certi diritti vengono spazzati via come un foglio di carta nel vento. Il 25 novembre è la Giornata Mondiale contro la violenza alle donne. Mai come ora sono così strettamente connesse queste due date.

E perché sono così legate fra loro? Ebbene, in questi giorni si è verificato un altro femminicidio e in silenzio ho osservato la lingua che è stata usata per narrare l’ennesimo fatto di sopruso. Una delle cose che più mi è balzata all’occhio è stata la frase: “le madri devono educare i figli maschi e smettere di proteggere le femmine”. In quanto filosofa che ha a che fare costantemente per lavoro con le parole, rimango ammutolita. E mi viene anche da aggiungere che non serve una laurea in filosofia per rendersi conto che nella frase scritta poc’anzi si legge un paradosso a dir poco eclatante.

Quindi nella giornata in cui si ricorda quanto i minori abbiano preziosi diritti per la loro vita, voglio parlare di uno in particolare: l’educazione alla vita. Questo diritto è insito in tutte le generazioni dal giorno in cui si emette il primo vagito, e contiene tutto il senso proprio dell’esistere. Essere educati alla vita significa conoscerla, sperimentarla, soffrirla, ma soprattutto poterla vivere nella propria pienezza. Questo implica che l’educazione alla vita contiene dentro di sé un seme ancora più prezioso: il rispetto. Il rispetto di se stessi e degli altri intorno a me. Il rispetto dell’ambiente in cui vivo. Il rispetto delle cose che incontro lungo il mio cammino. Il rispetto della libertà.

Chi ci insegna tutto questo? Molte e molte figure di riferimento, che prima di noi hanno avuto altrettante e diverse figure di riferimento. Questo perché impariamo dall’esempio, ma a partire da quello ci evolviamo per migliorarci e per portare nuovi semi e germogli intorno a noi e a favore degli altri. Purtroppo però gli insegnamenti passano attraverso il linguaggio e le parole seppur fragili sono assai potenti nella loro semplicità. Se questi insegnamenti passano attraverso le parole “sbagliate”, tutto può ribaltarsi in un secondo. In realtà non ci sono davvero parole sbagliate di per sé, siamo noi a riempirle di significante a nostro piacimento. Dunque tornando alla frase sull’educazione, ancora una volta dimostra come le parole vengano usate per distruggere, quando invece sono ponti che uniscono anche i continenti più lontani, solo se usate con cura e con cognizione di causa. L’educazione passa attraverso più figure di riferimento e non soltanto dalle madri. Ecco che se vogliamo interrompere una catena di femminicidi non possiamo farlo incolpando ancora una volta coloro che li subiscono.

Quest’oggi io voglio aggiungere un diritto a questi bambini, a queste bambine, a questi ragazzi e a queste ragazze: il diritto a scegliere le parole per dare il giusto nome alle cose.

Se parliamo di mostri che uccidono, allora ci riferiamo a quegli esseri che stanno nascosti negli armadi o sotto i letti dei bambini per spaventarli la notte. Se li chiamiamo animali, ci riferiamo a quegli esseri che uccidono per difesa o sopravvivenza. Se parliamo di femminicidio stiamo descrivendo un’azione compiuta da un essere umano di sesso maschile contro un essere umano di sesso femminile.

Allora non parliamo di educazione che devono fare le madri verso i figli maschi o di protezione che devono rivolgere alle figlie femmine. Parliamo di diritto: la parola diritto deriva da directum, che come aggettivo vuol dire diretto, retto, e quindi, in senso figurativo, giusto, buono, per bene, onesto, leale, probo: sostanzialmente vuol dire procedere in una direzione regolare. Un animale che uccide un altro animale sta procedendo come la natura vuole. Un uomo che uccide una donna per il puro bisogno di prevaricazione e possesso, non sta procedendo in una direzione regolare.

Chiamiamo le cose col loro nome, se partiamo da qui tutti i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze potranno vivere nel rispetto della vita. Le parole possono cambiare un intero destino.

Ci tengo a specificare che l’apertura del mio articolo è estratta da un brano scritto da un adolescente che ha partecipato alla prima edizione di Con Ali di Carta: la narrazione che cura. Anche quest’anno siamo riusciti a portare avanti l’iniziativa che lancia la seconda edizione, il cui tema è “Passo dopo passo, l’importante è mettersi in cammino”.

Per partecipare: https://www.aovr.veneto.it/concorso-con-ali-di-carta

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