Lo scorso 15 marzo si è tenuto il primo convegno internazionale di Biblioterapia all’Università degli Studi di Verona. Attualmente unica realtà in Italia che sta portando avanti questa disciplina anche attraverso la validazione dello strumento scientifico accademico, il quale permette di assegnare il giusto potere alla materia, in termini di impatto, utilità e misurazione del benessere attraverso gli strumenti narrativi.
Tuttavia in questi giorni si è parlato ampiamente nelle testate giornalistiche in merito a ciò che è avvenuto in quella giornata e soprattutto la portata che ha avuto. Io scelgo di focalizzarmi a partire da questo su una mia esperienza personale, che indubbiamente non ha validazione scientifica; nonostante questo offre ancora più prepotentemente il significato ultimo della Biblioterapia come pratica comunitaria.
Circa un anno fa, durante il mio periodo lavorativo presso il Banco di Comunità di Verona, ho proposto un’attività ludica sullo stile della biblioterapia che applico in vari contesti.
Ogni mercoledì pomeriggio, in orario 14-16, si raccoglie il cosiddetto “Gruppo chiacchiera”, che nell’ultimo anno è cresciuto in termini di partecipazione (era nato per sopperire a un senso di solitudine di alcune persone e rispondere a un bisogno di condivisione che ci coinvolge tutti). L’atmosfera che si è andata creando è qualcosa che ho potuto toccare con mano e che mi fa dire dell’unicità di questa. La forza e l’energia del gruppo è stata così solida che ho visto applicare profondamente il significato della parola inclusione. Quel concetto così consumistico al giorno d’oggi, ma che ancora può essere reale e non semplice illusione mediatica. Ebbene questo gruppo, queste persone ancora oggi, nonostante le fatiche che riguardano ogni situazione gruppale, mantengono il loro appuntamento fisso, crescendo e stimolandosi reciprocamente. Mettendosi in discussione anche, affrontando tematiche che ci toccano da vicino tutti quanti perché riguardano la vita. Un incontro anche generazionale, partito da componenti con età più avanzata fino a raggiungere giovani adulti assolutamente meravigliati e coinvolti dalle discussioni portate in atto in quelle due ore di tempo.
Proprio in questo momento così fertile, a cui ancora oggi prendo parte saltuariamente come socia attiva, ho proposto un incontro di condivisione attraverso degli elementi vicini al processo biblioterapico. Per farlo ho utilizzato lo strumento dell’acrostico, il quale è ampiamente sviluppato all’interno del testo “Poetry Therapy” di Nicholas Mazza.
“La poetry therapy prevede lo studio e l’uso del linguaggio, dei simboli e della storia in ambito terapeutico, educativo e nella costruzione della comunità. La biblioterapia, la narrativa, lo scrivere un diario, la metafora, lo storytelling e il rituale rientrano tutti nell’ambito della Poetry Therapy” (Mazza, 1993, 2003). La componente espressivo/creativa di tale metodo implica l’uso della scrittura nell’ambito di un qualsiasi percorso di sostegno, e proprio l’acrostico ne rientra.
Ad ogni partecipante ho fatto comporre una propria personale poesia a partire dall’acrostico del proprio nome e come indicazione ho dato che tale poesia potesse esprimere il punto di vista individuale rispetto all’esperienza fatta durante quel momento di chiacchiera in quello spazio che è il Banco di Comunità: un luogo non solo di aggregazione, ma anche di intimità e fragilità tipiche dell’esistenza umana che si incontra.
Questo momento di condivisione è stato così apprezzato che gli elaborati sono stati appesi sul muro d’ingresso dello spazio; ma non solo. Qualche giorno prima del 15 marzo, proprio lo stesso gruppo – coinvolgendo altri componenti della rete che frequenta il posto – ha organizzato una sfilata di moda (il Banco di Comunità nasce per lo scambio di beni come ad esempio l’abbigliamento) con i capi a disposizione, in un’ottica di promozione, ma anche di valorizzazione. Come sorpresa finale il gruppo nei giorni precedenti aveva strutturato in autonomia un acrostico a partire dalle lettere che compongono proprio la dicitura “Banco di Comunità”. La poesia composta andava a narrare quella che è l’esperienza complessiva che una persona può fare se viene a conoscere la realtà.
Questo mi ha fatto positivamente riflettere sul senso del mio operato e su come la biblioterapia possa attivare quelle risorse che ogni persona ha inconsapevolmente dentro di sé, facilitando pensiero creativo, espressione e soprattutto autodeterminazione.
B isogna
A vere
N uove
C onoscenze e
O pportunità
D omani
I nsieme
C ammineremo
O vunque
M igliorando
U niche
N ovità
I nseguendo
T antissime
A micizie