Civitas futura, per una “città delle anime”

città futura_Trento

La cura delle parole e le parole come cura

Per restituire all’infanzia – e non solo – luoghi da abitare, per assicurare spazi e tempi opportuni alla comunità, recuperando i tratti costitutivi dello spazio urbano, il discorso pedagogico incontra quello filosofico.

Lo scorso anno verso il mese di novembre, grazie a una studentessa del master in Biblioterapia, ho incontrato i vertici della Cooperativa di Trento “Città Futura”. L’incontro è stato uno scambio ricco di intenti. Questo scambio ha portato allo scorso sabato, il 3 febbraio, a strutturare una lezione (mi piace forse più parlare di dialogo) rivolta alle educatrici e agli educatori, alle pedagogiste e a tutto il team che va a comporre le relazioni e i ruoli della Cooperativa.

I presenti erano circa 400, la prima volta che mi rivolgevo a un pubblico così numeroso. La sfida è stata quella di riuscire a raggiungerli il più possibile e, attraverso il mio modo di operare, non volevo ridurre per nulla lo scambio dialogico fra me e i partecipanti. Non mi piace parlare a me stessa intorno agli argomenti che studio e che amo di più. Altra sfida è stata quella di presentare al grande pubblico le ultime riflessioni in tema di filosofia della narrazione.

Il posto in cui abitare. Il vuoto e il pieno di un vaso: “La cosa” di M. Heidegger e la rilettura del mito di Pandora.

La filosofia e la narrazione sono per me da sempre due pietre focaie. La narrazione è un’arte delicata, essa rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo. Chi narra non solo intrattiene e incanta, ma regala ai protagonisti delle sue storie un “destino”. Questo destino ha molto a che fare con il posto in cui abitare. Per spiegare questo aspetto ancora una volta sono tornata ad utilizzare il saggio “La cosa” di Heiddeger.

Parete e fondo, in cui la brocca consiste in virtù di cui sta in piedi, non sono ciò che propriamente contiene. Se però il contenere risiede nel vuoto della brocca, allora il vasaio, che forma le pareti e il fondo della brocca, non fabbrica propriamente questa: egli dà forma al vuoto. La cosalità del recipiente non risiede affatto nel materiale in cui esso consiste, ma nel vuoto che contiene. Questo vuoto è lo stesso dono che ci ha fatto Pandora e, lungo quella ricostruzione, abbiamo compreso il passaggio successivo.

La parola è viva, ma è anche cosa, ossia oggetto: va riempita e si riempie oppure va svuotata e dunque si svuota. La parola è quella cosa che indossiamo ogni giorno, che muta con noi, che si adatta e che è elemento vitale e portante del vuoto che si trascina dietro. ‘Parola’ e ‘destino’ si incontrano nel vuoto della brocca. La parola come destino è agire e l’atto poetico narrativo (inteso in modo ampio e non solo legato a uno stile letterario) in quanto gesto, è tecnologia e dunque arte.

Le parole da abitare. Il diritto a scegliere le parole per dare il “giusto” nome alle cose.

Il nostro percorso è partito col definire il nostro sviluppo umano all’interno di un sistema ecologico, il quale, a sua volta, permette di definire conseguentemente l’ethos, il posto da vivere. Abbiamo incontrato l’azione poetica, permettendoci di esprimere come può e deve caratterizzarsi questo posto: spazio, anzi atmosfera come gesto narrativo, letteralmente fatto (creazione tecnologico-artistica) di cose quali le parole. Abitiamo gli spazi attraverso le parole e le parole si creano a partire dalle narrazioni dell’ambiente in cui abitiamo. Da questo siamo giunti ad ampliare la riflessione intorno a uno dei diritti dell’infanzia: il diritto all’educazione. Chi ci insegna questo? Molte e molte figure di riferimento, che prima di noi hanno avuto altrettante e diverse figure di riferimento. Questo perché impariamo dall’esempio, ma a partire da quello ci evolviamo per migliorarci e per portare nuovi semi e germogli intorno a noi e a favore degli altri.

Allora la giustezza ha molto a che fare con l’attivazione multidimensionale della nostra virtù. Questo discorso ha necessitato del contributo della Teoria dell’attività di Vygotskij: il concetto di attività è definito come unità di analisi fondamentale per la comprensione e lo studio dello sviluppo cognitivo. Si definisce attività ogni comportamento umano “mentalizzato”, ogni azione dotata di scopo e culturalmente significativa, che viene intesa come forma di esistenza (e non come mera reazione biologica adattiva).

Le attività organizzano la nostra vita. Nelle attività, gli esseri umani sviluppano le loro abilità, personalità e coscienze. Attraverso le attività, trasformiamo anche le nostre condizioni sociali, risolviamo le contraddizioni, generiamo nuovi artefatti culturali e creiamo nuove forme di vita e di sé.

Estetica degli spazi emozionali

Il linguaggio è inteso come qualità emergente ed è soprattutto attività costitutiva della coscienza, come processo che rende possibile all’uomo e alla donna la comprensione di sé e dell’altro, nonché la conoscenza del mondo. Il linguaggio è l’effetto emozionale (atmosferico), volendo perfino persuasivo, esercitato sul corpo-proprio da ambienti e opere, paesaggi e pubblicità, cose e semi-cose (naturali o artificiali), per apprendere come vivere più intensamente ciò che è presente.

L’azione poetica è allora la nostra capacità artistica di creare il mondo, di modellarlo a partire da quei ritmi che il mondo stesso ci trasferisce secondo natura. La poesia è paesaggio, è gesto, voce, respiro, oggetto, corpo: un rapporto esterno con l’ambiente che diventa fondativo dell’esperienza poetica in parole scritte; un ritorno nel proprio corpo, fatto di questo rapporto intimo tra parola e corpo stesso che ascolta l’ambiente. Contemplare poeticamente è un modo di cura. Il luogo di cura è allora composto da atteggiamenti estetici, agisce un movimento (mano che scrive, respiro del corpo e suono). L’atmosfera della cura è uno spazio di possibilizzazione tramite bellezza poetica.

Per concludere le storie – fatte letteralmente di parole e quindi linguaggio – veicolano sempre idee del mondo (da contestualizzare) e possono perciò offrire una gabbia in cui chiudersi o una chiave per scappare.

Il linguaggio comune è tanto specchio quanto strumento di una violenza che ferisce quotidianamente donne e uomini. Le parole sono importanti. Per imparare a raccontare si deve poter e saper scegliere le parole: il linguaggio è il veicolo principale per una civitas futura fatta di anime (da psychè, ossia dal gr. ψυχή, connesso con ψύχω «respirare, soffiare». Termine la cui etimologia si riconduce all’idea del «soffio», cioè del respiro vitale).

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