La morte amica

la morte amica

Come il mese scorso, assieme ai miei colleghi e amici Marco Dalla Valle e Ana Gutierrez, per il 30 ottobre abbiamo scelto un tema su cui parlare dai tre punti di vista di ognuno di noi, con la propria sfumatura e professionalità.

A ridosso della “Giornata dei morti” e di Halloween ci sembrava doveroso affrontare due temi, o meglio, due aspetti della vita che ci toccano tutti da vicino: la morte e la paura, e se vogliamo anche la paura della prima. Una paura che proviamo forse già dal primo giorno in cui emettiamo il primo vagito.

Affrontare la morte per me, dal punto di vista letterario, parte da uno studio specifico che avevo approfondito per la mia tesi magistrale in Scienze filosofiche nel 2018.

Il titolo stesso richiama a un testo a me molto caro: “La morte amica. Lezioni di vita da chi sta per morire” di Marie de Hennezel.

Perché parto da qui per parlare di Halloween? Perché il senso profondo dell’esistenza (dunque della vita di ognuno di noi) si definisce a partire da due opposti e contrari che coesistono: la salute e la morte.

Un cartone animato della Walt Disney ci insegna molto bene come la vita sia dettata da questo confine che non è netto. Siamo costantemente in contatto con la morte, non solo il giorno designato. Infatti l’altra parola chiave su cui voglio soffermarmi è proprio il ricordo.

Il cartone animato di cui parlo si intitola “Coco” e stranamente racconta del giorno dei morti, un giorno che da noi occidentali non viene definito all’interno del concetto standard di “festività”. Ricordo sin da bambina che la giornata del 1 novembre si caricava di profonda malinconia e tristezza; e non lo ripenso come un momento da vivere con serenità per ricordare e onorare i morti. In questo film di animazione, ambientato in Messico, la ricorrenza si carica di allegria ed è un vero e proprio momento di festa. La cosa più bella è proprio come le scene traducano l’idea di ricordo: ogni famiglia nel giorno dei morti espone le foto di ogni singolo componente che se n’è andato, attorniando gli altari con cibo e oggetti preziosi che magari appartenevano al morto. Fanno ciò perché solo in quella maniera il morto può essere presente in quel preciso momento come spirito. Il film fa vedere come il ricordo di una foto possa far risorgere e re-incontrare chi se n’è andato, per festeggiare ancora una volta, ogni volta, insieme; onorando i momenti passati che restano nella memoria di chi è in vita, di generazione in generazione.

Si vedono le persone vive che mangiano e festeggiano in compagnia e accanto a loro gli spiriti, anch’essi intenti a mangiare e a festeggiare, proprio come se fossero ancora fisicamente presenti, proprio come se potessero comunicare fra un mondo e l’altro (lo spettatore è privilegiato in questo perché può davvero vedere i due mondi toccarsi e convivere).

La morte non ci sfugge e prendendo le parole di Hennezel, non serve essere credenti, “è l’intensità della vita semmai a farci riscoprire la fede, una fede non del , ma del come. Una fede del decidere come vivere e come morire, una fede che si traduce in tentativo di mettersi completamente al mondo prima di sparire”.

Ecco allora che l’usanza di Halloween di travestirsi per far paura alla morte e agli spiriti può essere accolta perché risponde a due profondi bisogni umani: ridurre la drammatizzazione legata al momento del fine vita denso di dolore, scherzandoci sopra, facendo dell’ironia. Ma anche dall’altro lato metterci in contatto con i nostri cari concretamente: ci travestiamo per essere ciò che non siamo, ma che immaginiamo di poter essere nel mondo dove vivono ora i nostri amici e familiari trapassati. Anche nel film viene offerta una possibile rappresentazione. Non conosciamo davvero questo aldilà, ma anche la fantasia in questo ci permette di sostenere quel momento; un momento molto più difficile da vivere per chi resta e non per chi ci lascia. Un momento ignoto che tentiamo di ricondurre a ciò che conosciamo.

Per concludere la parola chiave è proprio “ricordo” perché anch’esso è una forma di narrazione. Solo attraverso le storie di chi è morto possiamo mantenerne viva l’esistenza e far entrare in contatto i due mondi per davvero. Il ricordo ci permette di dialogare fra i due mondi all’infinito, generazione dopo generazione, stimolando anche un senso di responsabilità: è doveroso onorare le storie di chi non c’è più ma ha fatto un pezzo di strada con noi lungo il percorso della vita.

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